lunedì 16 settembre 2013

30 Agosto 2013 - CCC

La pagina del calendario nella mano pesa più delle altre. In quegli ultimi due giorni sono condensate mille emozioni che hanno impregnato il mio cuore e la mia mente.
CCC appare sul calendario come Courmayeur-Champex-Chamonix, 102 km con 6100 metri di dislivello positivo.
Nella mente è oramai Cuore-Corsa-Commozione, un insieme di fotografie incollate su di un album dalle pagine mescolate dal vento. Dentro un infinità di emozioni, di suoni, di sensazioni, di paesaggi.. tutto così grande visto da quaggiù, tutto così naturale quando si è lassù, a un passo dalla cima, con lo sguardo rivolto al gigante bianco.
Il Grand Col Ferret, con la sua infinita mano che ci portava in alto, la Tête aux Vents, così aspra e dura da sembrare l'inizio di una nuova era una volta arrivati in cima.. hanno lasciato una traccia indelebile nel mio cuore, assieme ad ogni singolo passo fatto per arrivare sulle loro cime.
Voglio bene a queste montagne, come se fossero parte di me, della mia vita, come se fossero le mie divinità.

Resoconto Completo - Per poter ricordarmi un domani di questa avventura. (Molto lungo, solo i più temerari clicchino qui sotto)

La sveglia suona molto presto, il sole non è ancora sorto. Mi preparo per uscire dall'albergo verso Chamonix, assieme a Mariagrazia. Avvolti dal buio lasciamo la nostra macchina al parcheggio della funivia per l'Aguille du Midi e seguiamo altri trailer a piedi verso il centro, dove saliamo su uno degli autobus per Courmayeur.
Il pullman ci conduce attraverso il tunnel del Bianco fino ad una piazza piuttosto decentrata della località di partenza, dove decidiamo di mettere qualcosa sotto i denti. Il bar è un ibrido tra un campeggio e lo spazio antistante ad uno stadio prima di un concerto.
Gente ovunque, sdraiata, in piedi, seduta, che dorme, che mangia... uno spettacolo. Facciamo colazione e ci dirigiamo verso l'arco di partenza.
Siamo molto in anticipo, dobbiamo aspettare una mezz'ora prima che gli organizzatori installino i cestoni dove poter depositare la borsa con il cambio per l'arrivo. Inizia ad esserci in giro molta gente, uno sciame variopinto di podisti in abiti da trail runners. E' come essere ad un ricevimento, ognuno con la sua attrezzatura migliore, per non sfigurare al grande evento.
E così, commentando un pò l'attrezzatura degli altri runners e cercando di pensare un pò alla gara, mi metto nel mio "recinto". Partirò con l'ultima ondata, alle 9.30.
Assistere alle partenze degli altri atleti è una grande emozione, ma nulla comparato a quegli interminabili minuti che trascorrono lentamente prima del via definitivo. E così, dopo aver richiamato la massima concentrazione su quello che sto facendo, sono pronto a partire. In pochi attimi focalizzo la strategia, le difficoltà e la voglia di arrivare in fondo, ma cerco anche la presenza rassicurante delle montagne. Sono loro ad essere l'elemento principale di questa avventura, a loro chiedo il permesso di passare, in un pensiero che rassomiglia molto ad una preghiera pagana.
Si va!
La strada inizia quasi subito a salire. Decido di alzare subito il ritmo del cuore e non risparmio troppe energie. Corro fino a che le suole delle mie cascadia non toccano la terra del sentiero che ci porterà a coprire i circa 1400 metri di dislivello per arrivare sulla Tête de la Tronche. Poi inizio a salire di buon passo utilizzando anche i bastonicini. Il passo è buono, penso di essere tra i primi venti del mio gruppo, questo mi consente di avere il sentiero sempre sgombro... fino a che non troviamo i primi concorrenti "lenti" dei gruppi precedenti.
Mi accorgo che l'assembramento è notevole, si creano file interminabili di più di 50 persone ferme, come in tangenziale alle 8.00 di mattina.
Si perde il passo, e con esso molto tempo. Inizio a sorpassare in ogni punto, pur di guadagnare del sentiero un pò aperto. Quando arrivo sugli ultimi strappi della salita sono con gente che procede al mio passo..missione compiuta! Le varianti nel bosco più fitto e fuori dal sentiero per sorpassare la coda di concorrenti rimarranno per sempre nella mia mente. Mi colpisce la presenza di così tante nazionalità, sui pettorali sono scritti nome cognome e nazione di provenienza, rimango estasiato guardandomi intorno e notando i lineamenti molto diversi dei vari concorrenti. Tutti sono qui, accomunati dalla lingua universale del trail.. ed è veramente una sensazione fantastica!
Arrivo in cima, sono 967° (lo scoprirò solo all'arrivo), mi sento bene ed ora c'è un bel pezzo di discesa corribile. I sentieri sono magnifici e il panorama toglie il fiato! E' incredibile l'energia che riesce a dare la montagna con i suoi scorci splendidi. Chilometri e chilometri di prati, rocce, sentieri, malghe.. un paradiso in terra. E ancora c'è un sacco di strada da fare!
Proseguo nei sorpassi senza mai spingere, forzare in discesa so che alla fine mi mette sempre in crisi, quindi avanti di corsa, ma con giudizio.
L'ultimo tratto prima del rifugio Bertone è lievemente più tecnico, ma si riesce comunque a correre.. e a sorpassare!
Sosta al ristoro, dove bevo e mangio qualcosa, mentre scherzo con un gentilissimo volontario, che mi dice che fino al Bonatti è facile... speriamo! Si riparte, in effetti il tratto non è eccessivamente difficile, un pò di salita e di discesa si alternano, prima dello strappo in salita che porta al Bonatti, dove riempio il camel e cerco qualcosa da mangiare.. ma non trovo nulla di dolce, mi dicono che devo arrivare fino all'Arnuva per avere un pò di dolce... bene!
Zaino in spalla, mi mangio un pò degli alimenti che mi ero portato come scorta personale e procedo.
Arrivare all'Arnuva non è un problema, ancora le gambe girano per bene, i chilometri sono ancora pochi, e anche la lunga discesa sterrata in single track prima del ristoro passa leggera, mentre la mente inizia a prepararsi alla salita del Grand Col Ferret. Già il nome mi incute un pò di timore, ancora di più i suoi quasi 800 metri di dislivello positivo.
Mangio per bene al rifugio e riparto, per affrontare i 4 chilometri abbondanti di salita al Grand Col. Vado su bene, vedo la gente che si ferma a lato del sentiero a recuperare, con la faccia stravolta, io procedo con un buon passo, senza strafare perchè la pendenza si fa sentire, ma con un ritmo uniforme che mi consente di guadagnare quota piuttosto velocemente.
Il panorama anche qui riesce a diminuire la fatica nei muscoli e a dare del respiro in più. Più si sale e più la vallata si apre, maestosa, davanti ai miei occhi. Arrivo in cima dietro una ragazza con un improbabile gonnellino fucsia. Non c'è un vero e proprio ristoro, e fa piuttosto freddo, preferisco non fermarmi per evitare malanni pericolosi a questo punto della gara e affronto subito la discesa, mangiando e riprendendo un pò fiato mentre alterno corsa a camminata.
Siamo circa al 31° ed ora la mia bacchetta, sulla quale è incollato con lo scotch il riepilogo dell'altimetria della gara, mi dice che mi attendono una ventina di km di sentiero principalmente in discesa. Mi ricordo di aver detto almeno una decina di volte che la gara si farà qui. Non devo mollare, non devo aver crolli, devo correre. Così riesco a fare, siamo arrivati in svizzera, prima con il ristoro di La Fouly e poi, alternando discese nel bosco a bei sentieri tra i prati, si arriva alla base della salita per Champex-Lac, ristoro che segna idealmente la metà della fatica, forse qualcosina in più.
Il ristoro a Praz de Fort è stato annullato, passiamo nel paesino su strada in parte bianca e in parte asfaltata trovando con grande gioia una bancarella approntata da una famiglia, dove dei simpatici bambini mi porgono da bere del tè sbiascicando qualcosa in francese, io sorrido e ringrazio senza capirci niente, ma vedo che i loro visi sembrano ugualmente soddisfatti!
Proseguo attaccando la prima parte della salita per Champex, su asfalto, mi ricorda la salita della Abbots dove mi si piantarono le gambe di colpo. Ma qui non capiterà. Cerco immediatamente di rimuovere le sensazioni di quel terribile vuoto di energie. Tutto mi serve tranne uno stimolo così demotivante in questo momento. Accendo il mio lettore mp3 e cerco di acquisire un passo ritmato con l'ausilio dei bastoncini. Vado avanti lungo la salita, arrivo sullo sterrato ed ancora su, per il bosco. Ora la stanchezza si fa sentire in maniera notevole, ma conto di riprendere un pò di energie a Champex, dove prevedo di stare fermo un pò per mangiare e prepararmi per la notte. Il mio bastoncino dice che da li mancheranno solo tre salite alla fine, un numero gestibile, affrontabile, fattibile! La salita intanto sembra non finire mai, cerco di prendere un passo più corto per non affaticarmi inutilmente e di sfruttare il ritmo di qualcuno davanti a me. Mantengo il controllo di me stesso ed arrivo al ristoro mentre inizia a calare il buio.
A Champex scoprirò di essere transitato in 727esima posizione, grazie ai messaggi di Mariagrazia che mi tiene aggiornato sulla situazione.
All'interno dell'enorme tenda c'è molta gente, è il primo punto dove è ammessa 'assistenza di famigliari ed amici. Sembra che tutti si siano dati appuntamento qui, mi dirigo verso una panchina dove appoggio le mie cose e poi come uno zombie verso il tavolo con le cibarie. Noto con piacere che oltre al trittico baguette-formaggio-salame che apprezzo sempre molto volentieri, c'è anche della pasta che, con mia somma sorpresa, scopro essere condita con dell'ottimo ragù. Me ne faccio due piatti, veramente squisita. Recuperate un pò di energie mi inizio a guardare intorno, ci sono molte facce stanche, alcune distrutte appoggiate stancamente ai tavoloni. Penso ad andare avanti, a quello che mi aspetta là fuori, la notte. Ognuno qui deve fare la sua gara e cercare di portare in fondo le propria ossa e la propria testa
Decido di cambiare la maglia, mettendo quella maniche lunghe invernale e preparo nelle tasche esterne dello zaino i guanti e la cuffia, indossando anche la giacca impermeabile.
E si riparte.
Check del materiale in uscita, il tizio mi guarda e vedendomi bardato come un uomo pronto per affrontare il circolo polare artico, mi lascia andare con un sorriso. Fuori è buio pesto. E' arrivata la notte.
Appena esco ed inizio a corricchiare, scopro di avere un gran caldo.. e soprattutto un forte dolore al lato esterno del ginocchio destro. La stronzissima bandelletta ileotibiale che ho imparato a conoscere in questi anni di corsa non perde occasione di farsi sentire.
Proseguo per la mia strada, cercando di rallentare per far scaldare meglio tutte le articolazioni e i tendini, intanto do un colpo di telefono a Mariagrazia per accordarci sull'indomani mattina e sul mio arrivo a Chamonix. Eh si, perchè oramai sarei arrivato a qualsiasi costo, anche camminando tutti i 47 chilometri rimanenti.
Mentre chiudo la telefonata vedo una ragazza uscire in slip dal bosco, evidentemente si era fermata per un "pit-stop". Li vicino quello che credo fosse il suo ragazzo. Entrambi mi sbiascicano qualcosa in francese un pò imbarazzati, ma noi trailer non ci facciamo problemi, sorrido e vado avanti, intento a pensare alle condizioni delle mie quattro ossa.
La strada è piuttosto larga, ci potrebbe passare tranquillamente una jeep. Un falsopiano lascia poi posto ad una leggera discesa, che non riesco a correre nella sua totalità, sempre più disturbato dal dolore. So che comunque non sarà un problema grave, perchè arriveranno le ultime tre salite a farmi pensare ad altro.
La prima è quella verso il checkpoint di Bovine. Il mio bastoncino lo dice chiaramente, circa 700 metri di dislivello collocati negli ultimi 4 km della "tappa".
Il sentiero si fa stretto ed inizia ad inerpicarsi sulla buia montagna, cerco di salire con un passo regolare, in modo da mandare in stallo la testa. Per un pò funziona, riesco a recuperare un gruppettino di persone davanti a me e a mettermi in scia. Spengo il lettore mp3, giusto per vedere se qualcuno scambia qualche parola, ma nemmeno di notte i francesi si lasciano andare ed il silenzio viene interrotto unicamente dal rumore dei bastoncini contro i sassi e le rocce. Qualche minuto e le persone davanti a me si tirano da parte e rimango in testa al gruppo da quel punto, per la quasi totalità della salita. Riaccendo subito l'mp3, le gambe girano piuttosto bene, ma la testa inizia a perdere qualche colpo. Di colpo un senso di disperazione mi pervade, mi sembra assurdo dover salire ancora, vorrei fermarmi subito, prendere fiato, forse ritornare indietro. Il peso di quelle tre salite mi sembra di colpo spropositato. Però non mi fermo, continuo a camminare, accompagnato dalla musica. La funzione random del mio lettore mi propone spesso i Pain of Salvation, ascoltare i pezzi lenti avvolto nel buio della notte ha un effetto molto strano. Forse troppo drammatico. O forse no? Mi vedo più volte fermo all'esterno di un tornante, mentre lascio passare quelli che mi seguono. Ma continuo a rimandare, non adesso, non adesso, al prossimo, non ancora.
Durante l'ascesa faccio alcune proiezioni temporali, anche camminando sempre dovrei arrivare comunque in fondo. E' sufficiente non fermarsi molto ai rifugi. Voglio arrivare a tutti i costi, anche strisciando. E ce la posso fare! Mi vengono in mente le ascese intorno al Corno alle Scale con Luca, i discorsi sulla motivazione, sul potere della mente umana. E vado avanti, sempre determinato, oltretutto mancano solamente due salite.
Il momento di difficoltà, così come è arrivato, improvvisamente svanisce.
Arrivo in cima senza fermarmi, transitiamo nel check point. Ho la testa ancora in banana completa. Apro completamente la giacca, ho troppo caldo, con una voce innaturale mi rivolgo ai volontari "Avete della coca cola?" Loro mi guardano con quello sguardo con il quale si guarda un trailer nel bel mezzo della notte. Un misto di compassione e ironia. "Non abbiamo nulla da bere". Mi guardo in giro, noto che mi trovo in un punto di rilevazione dei numeri di pettorale. Capisco di aver fatto una domanda stupida e riparto, ringraziandoli.
La discesa non arriva subito, ci aspetta ancora un tratto di salita, nel quale scambio qualche messaggio su WhatsApp con la mia "socia del Radler Team", Eleonora. Lei ha fatto anche l'UTMB, ha più esperienza di me nel trail e mi da un consiglio importantissimo. Ancora sorrido rileggendo i messaggi inviati intorno alla mezzanotte.
E :"Come va?" F: "Una merda ;P Vado solo in pianura".
Spiego la faccenda e mi consiglia di prendere un antidolorifico, per evitare dannose compensazioni. Non avrei voluto prendere il "Moment" che avevo nello zaino, ma noto che anche la caviglia sinistra mi fa male, vuol dire che sto correndo tutto storto.
Mi fido delle sue parole. Anche perchè una volta che il sentiero piega in discesa, scopro di non riuscire più a correre. Faccio solo qualche passo veloce utilizzando i bastoni per evitare impatti decisi con il terreno, non posso andare avanti così. Decido quindi che al prossimo ristoro, quello di Trient, prenderò il mio Moment.
La discesa procede inesorabile, il terreno è reso bagnato e scivoloso dall'umidità notturna e devo fare molta attenzione, oscillando in maniera precaria tra dolore e sassi bagnati sotto le suole.
Finalmente si arriva al rifugio, inizio a sentirmi a mio agio nel bosco e vivo i ristori come una forzatura della realtà. Chiedo da bere alla signora addetta al rifornimento acqua. Non capisco perchè mi sta guardando in maniera inquisitoria. Molto lentamente capisco dai suoi cenni che la stavo accecando con la mia frontale che, nell'imbananamento totale, mi sono scordato di spegnere.
Prendo la mia pastiglia, assieme al solito formaggio, coca cola e alimenti vari dettati dall'estro del momento.
Decido di togliere del tutto la giacca, mettendola sulle spalle "modello Superman". Riparto.
La prossima salita è tosta, 800 metri in 5 chilometri, inizia subito dopo il ristoro. Mi sento strano, forse la testa sta amplificando l'effetto del Moment. Attacco con calma il sentiero che sale, domandandomi sul corretto abbinamento di Coca cola e Moment. Mi accodo ad un gruppo che sta salendo, è tempo di rifiatare un attimo. Dopo una decina di minuti mi accorgo che le cose vanno bene, e seguo un paio di concorrenti che sorpassano spediti il nostro gruppettino. I metri si susseguono rapidamente e si sale bene, fino a costituire assieme ad altre persone, un plotone di 5 trailers che, silenziosamente, risale la montagna.
Ad un certo punto sul sentiero, ma in direzione opposta alla nostra, vediamo avvicinarsi degli occhi fiammeggianti accompagnati da un rumore di campanacci. Escludendo la prima ipotesi (sono gli extraterrestri) realizzo successivamente che due mucche stanno scendendo lungo il nostro sentiero. O più probabilmente siamo noi a risalire lungo il loro sentiero.
Guardare le mucche significa piantare le nostre frontali nei loro occhi, cosa che non fa loro molto piacere alle bestie, visto che iniziano un pò a spazientirsi. I primi due riescono a procedere evitando i quadrupedi, mentre stiamo passando noi tre,  mentre la prima mucca ci sorpassa ignorandoci, la seconda mucca decide di inerpicarsi fuori dal sentiero, in mezzo alla macchia cercando di aggirarci più a monte. Siamo sotto di lei quando l'animale perde l'equilibrio e si trova "appeso" ad un grosso cespuglio. Scattiamo come dei novelli Bolt, mentre con la coda dell'occhio vediamo l'animale franare di nuovo sul sentiero in un tripudio di campanaccio e muggiti che lasciavano chiaramente intendere il livello di arrabbiatura dell'animale.
Buttando ogni tanto un'occhiata indietro, procediamo ancora lungo il sentiero per levarci dal luogo dell'incidente. Poco dopo la salita si fa più dolce e si alterna anche qualche breve discesa, che con piacere scopro di riuscire a percorrere di corsa.
Transitiamo da Catogne, accolti dalla chitarra di Slash dei Guns 'n Roses, sparata a un buon volume da una sorta di radio, proiettata verso quella scura notte di fine agosto.
Passato il check-point inizia una discesa, più lunga del previsto (circa 2km in più di quanto indicato sul bastoncino), che ci porta a Vallorcine. Riesco a correrla praticamente tutta, la prima parte è molto divertente e corribile con poco sforzo, più si scende nel bosco, più bisogna prestare attenzione alle tipiche insidie, sassi, radici, buche, ecc. Altra particolare difficoltà è costituita dalla mantella di superman, che mi va da tutte le parti, arrotolo in qualche maniera le maniche lungo gli spallacci dello zaino. Quando prendo un pò di velocità la giacca sventola come se fosse una bandiera... ma non ho intenzione di fermarmi prima del ristoro. Ora che riesco a correre, non voglio rompere l'incantesimo.
Un grande falò in lontananza ci indica il posto che dovremo raggiungere, laggiù ci aspettano i volontari! Ora l'umore è nettamente migliorato, l'aver corso tutta la discesa ha reso la mia avanzata più veloce e oramai sono a un passo dal traguardo.
Un passo lungo poco più di 20 km e 1000 metri di dislivello. L'ultima salita.
Mi faccio fare un tè caldo dai volontari, evitando il caffè che non vorrei possa procurarmi dei disturbi allo stomaco, già messo sufficientemente alla prova. Decido di mettere la parola fine alla "saga della giacca", la rimetto nella tasca esterna dello zaino, tanto la maglia a maniche lunghe invernale mi fornisce il calore necessario.. e tra qualche ora arriverà l'alba.
Parto di buon passo, l'umore è buono, mi aspetta un tratto di falsopiano di un paio di chilometri che conduce al Col des Montets. Circa 200 metri di dislivello. Decido di camminare veloce, spingendo con i bastoncini. L'uscita dal ristoro passa proprio di fianco all'enorme falò, sento il calore che mi avvolge e mi toglie parte dell'umidità accumulata. E' una sensazione bellissima, ma non dura più di un paio di secondi, bisogna andare avanti.
Il sentiero è una strada bianca che costeggia il torrente. Avvolto in un mix di heavy metal e rumore dell'acqua, arrivo fino al check point di col des Montets. Davanti a me una montagna da affrontare, sulla quale si può scorgere il sentiero disegnato da un centinaio di frontali, che porta fino alla cima. L'ultima salita. Tutto cambia come magia. I chilometri fatti non contano più, contano solo quei 700 metri di dislivello che mi separano dalla fine.
E' ancora buio, sono le 4 di mattina, il vero peccato è non poter godersi questa salita con la luce del sole, l'alba in questo momento sarebbe una scena degna della sceneggiatura di un film da Oscar. Ma non mi trovo in un film, bisogna andare avanti.
Si inizia subito a salire. La salita è dura e tortuosa, con diversi passaggi su rocce vive, dove bisogna prestare attenzione. Riesco a salire piuttosto bene fino a metà dell'ascesa, poi i tratti tecnici e la pendenza mi costringono a numerose soste per riprendere fiato. Riesco comunque a recuperare un paio di concorrenti che mi precedevano, ma è veramente dura. Trovo un italiano, Edoardo, con il quale scambiamo qualche parola e ci facciamo forza lungo la salita. Con lui arriviamo in cima. Un paesaggio quasi lunare, in lontananza il cielo inizia a rischiararsi, siamo in cima a La Tête aux vents, e il vento non può mancare. Mi siedo su di un enorme sasso piatto, di fianco ad un omino di sassi, a mangiare una barretta, guardando l'orizzonte che si sta colorando dall'altra parte della vallata. Il vento che soffia mi fa lentamente perdere calore, ma è una sensazione che so gestire, in questo momento voglio solo godermi il panorama e sentirmi un tutt'uno con l'aspra natura che ci sta concedendo il passaggio.
La notte che inizia a cedere il passo al giorno. Essere li, in cima all'ultima salita, a pochi chilometri dal traguardo, è qualcosa di indescrivibile. Le ore di cammino e corsa che hai dentro sembrano distanti, quasi provenienti da un'altra vita, da un'altra dimensione. Un sorriso mi si dipinge sul volto, un sorriso coperto dal buio, un sorriso che mi rimetto dentro per proseguire, manca ancora una discesa e la montagna va sempre rispettata e temuta.
Ora si va verso la Flégère, dove c'è la funivia che qualche giorno prima abbiamo preso assieme a Mariagrazia, per andare al Lac Blanc. Mi viene in mente quella giornata, dove abbiamo affrontato nebbie, vento, freddo, salita e sudore. Sono quelle giornate dove qualcosa dentro ti spinge ad andare avanti, a lottare per un qualcosa di migliore, senza sapere di preciso cosa. Quando la montagna ti fa sentire il suo lato più cattivo, puoi solamente farti piccolo, proseguendo passo dopo passo, cercando il sentiero più semplice, aspettando chi sta salendo con te. La montagna non è una gara, per lei non esistono nè primi nè ultimi. Ma sa guardarti nel cuore, sa sentire le tue emozioni ed i tuoi sentimenti. E così, mentre il freddo ti morde le mani e gli occhi ti si chiudono per il vento, quando il tuo sguardo scandaglia il metro di sentiero davanti ai tuoi piedi in cerca di un appoggio sicuro, di colpo, ecco che appare il sole.
Due metri sopra la nebbia, appoggiati ad un sasso, di fronte il massiccio del Bianco, chilometri e chilometri di roccia e ghiaccio. Tutta la vallata emerge dalla coltre lattiginosa che la avvolge fino a due terzi. Inizia a fare caldo, come se la vita fosse iniziata in quel momento. Un paesaggio tanto splendido quanto inaspettato, che ci toglie ogni segno di fatica e di tristezza, dandoci la forza per proseguire. Forse era già scritto che sarebbe andata così, ma mi piace pensare che sia andata così solo perchè ci abbiamo creduto.
Le parole di Edoardo mi riportano alla realtà, ho ancora dei chilometri da fare. Provo a correre nei tratti in discesa e le gambe vanno, posso anche spegnere la frontale, inizio a vederci bene con la luce dell'aurora.
Ad un certo punto scambio due frasi con Edoardo che però mi risponde in inglese. Non era lui. Evidentemente avevo staccato Edoardo ed un altro concorrente si era accodato a me. Cerco di spiegare l'accaduto e proseguo, raggiungendo in poco tempo il check point di La Flégère, dove  bevo e mangio in velocità e riparto quasi subito. Da qui fino all'arrivo solo un centinaio di metri di salita, poi tutta discesa.
Le gambe non sono sicuramente toniche, ma mi consentono di correre ancora, sorpasso un bel pò di gente in discesa, assaporo le curve del sentiero nel cuore del bosco e aspetto con il cuore pieno di emozione il tanto agognato momento, la soglia dei 100 km.
Continuo a guardare l'orologio, i metri aumentano piano piano, mentre percorro un bel sentiero largo che porta verso Chamonix alternando camminata e corsa. Esulto quando sul display appare la fatidica cifra. Potrebbe essere già il mio traguardo, ma il meglio deve ancora venire.
La strada nel bosco lascia il posto all'asfalto, riprendo a correre, qualche persona qua e la mi incita, oramai la città è vicina. Bravò Flaviò, Allez allez ... mi avvicino al centro. Le gambe sono roventi, ma non riesco a smettere di correre, una persona, dopo l'altra, un applauso, una frase, un incitazione. E' come essere in un'altra dimensione, non esiste più la fatica, è come se la felicità, come una marea, inizi a salire dentro, per irrompere poi fragorosamente nella mente sul rettilineo di arrivo.
E'una grande festa, lo speaker annuncia il mio nome e varco finalmente la linea del traguardo.
FINISHER.
Abbraccio Mariagrazia che mi aspettava all'arrivo, nell'ultimo tratto ho recuperato anche sul tempo stimato, mi piazzo 608imo in 22 ore 34 minuti e 11 secondi.
La stanchezza viene mitigata dalla felicità, recuperiamo tutte le nostre cose e ritorniamo in albergo, dove finalmente, dopo un paio di ore di sonno e una bella doccia rigenerante, vestirò il gilet da finisher.
Anche questa impresa è terminata. Anche questa pagina di storia è scritta.

4 commenti:

  1. Bravissimo, bel racconto, molto dettagliato, prox anno la vorrei fare anche io, se mi prendono, ciao

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    1. Grazie mille. Ti consiglio di farla Mitico, è veramente una signora gara ed organizzata in maniera ineccepibile. A presto, ti aspetto sui sentieri!

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  2. Sono arrivato in fondo con piacere, lascio un riassunto per condividere il tuo pensiero... È incredibile quanta energia ti possa dare la montagna. Complimenti

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    1. Grazie mille, sia per i complimenti che per l'attenzione dedicata al mio scritto!

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