lunedì 30 marzo 2015

Schegge della mia Ultrabericus


"Dai, sbrigati. Cazzo!"

Il piccolo schermo non reagisce al contatto con le dita. Mi osserva immobile. Devo fare in fretta, non ho molto tempo.

"Brutto bastardo. Proprio adesso."

Ogni cosa smette di funzionare nel momento in cui serve. Ovvio, altrimenti non ce ne accorgeremmo.

Il sudore trasforma il telefono in un sasso bagnato. Lo prendo con entrambe le mani, aumentando la foga con la quale le dita impattano sul display.

Ragiono un attimo, forse ho tempo a sufficienza.

Alzo lo sguardo, davanti a me ancora un centinaio di metri di dislivello, sentiero stretto ed impervio, una fila indiana di una ventina di persone che marcia sbuffando verso la cima della salita.

Una mano fa forza per aiutare il quadricipite sinistro, l'altra sul pulsante di spegnimento del cellulare.

Respiro. Un passo dopo l altro.

In quei pochi grammi di tecnologia, l'unico collegamento con quello che pare essere il mondo reale, al momento relegato in una dimensione parallela.

Nelle orecchie un Bon Jovi giovane canta della crisi dell'industria petrolifera, un sacco di minchiate che portano all'unico pezzo degno di nota. L'assolo di chitarra di Richie Sambora.

Nei polpacci i coltelli conficcati da quella trentina di chilometri già macinati, nella testa il peso di una distanza pressochè identica ancora da percorrere.

Si è riavviato! La password.. ok, sembra funzionare.

Avanti ancora. La salita sta finendo. Poi si riprenderà a correre, fino a che i muscoli ne avranno voglia e poi oltre, fino a quando gli stessi non ce la faranno più e prenderanno a pugni lo stomaco, fino a farlo vomitare.

Ecco, riesco a scrivere, il display sembra lo specchio di casa dopo una lunga doccia. "Dove siete? Da che lato del traguardo?" La salita è finita, infilo il telefono nello zaino e riprendo a correre.

All'arrivo non sarò molto lucido, più tardi leggerò la sua risposta e la fisserò nella mia mente. Così potrò finalmente abbracciarla e portarla con me al traguardo.

La scena irrompe nella mia mente, con la veemenza di una sequenza di Kubrick. La prendo tra le braccia e percorro gli ultimi metri, dandole un bacio in corrispondenza dello striscione di arrivo.

La solleverò al cielo, con tutta l'energia che non avrò più, ma che ora mi sta inondando il corpo, facendomi sussultare come se fossi su di una sedia elettrica.

Il sentiero si apre, il profumo delle viole gonfia le narici scacciando il tanfo di ammoniaca della fatica. Le primule scorrono come gocce d'ambra su di un tavolo di mogano.

Sono preda dell'estasi che precede la parte piů difficile, il crollo, la crisi. Quell'anticipazione di felicità che mostra la via e da la tenacia necessaria per continuare, fino alla fine, fino a quando potrò stringerla tra le braccia.

1 commento:

  1. Grandioso: ecco la tenacia, la determinazione; quasi sovrumane. Qualcosa di prezioso che viene restituito vivendo l'esperienza del limite. Immagino la gioia finale. Ricordi indelebili radicati nell'inconscio, nella memoria e in ogni luogo che si chiami anima... Bravo! Anche per come scrivi. Saluti da Mariano

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